Il «verum-factum» prima di Vico di Arduino Agnelli
non ia riproduzione nell’esperimento, è oggetto di conoscenza. La seconda crea zione, di cui parlava Leonardo, è pos sibile solo se si riferisce ad una realtà di cui l’uomo è stato anche il primo creatore. L’uomo, mentre è destinato a L’estetica rimanere alla superficie della realtà na turale, può aver vera conoscenza del mondo che egli pone in essere. Il fare, e qui sta il grande apporto di Vico, è condizione imprescindibile del conoscere. In nessun pensatore, come in Vico, si celebra la profonda unita di homo faber e homo sapiens. « È posto così il fonda mento dello storicismo e della filosofia della cultura: Vico apre nuovi orizzonti alla filosofia moderna» (p. 79). Si può dire che a questo modo il problema del nesso di conoscere e fare trova la sua grande impostazione moderna, dopo quelle conosciute nelle altre epoche. Cer to, la via che Vico indica come esclu siva per le scienze umane può essere battuta anche da chi studi la natura fi sica, come mostra lo sperimentalismo ga lileiano (traducibile in termini vichiani, secondo l’esempio di Cattaneo, per cui il nostro poter disfare e rifare quella combinazione che è l’acqua prova la validità del « verum ipsum factum »). Sta di fatto, però, che la distinzione vichiana fondamentale resta quella tra storia dell’umanità e storia naturale, te nuta esplicitamente presente da Marx. Le forze di produzione, che si svilup pano sotto l’impulso dei bisogni, illu minano la stessa storia dell’evoluzione or ganica, che diventa storia della tecnolo gia naturale. Se Darwin s’è occupato degli organi vegetali e animali, occorre occuparsi degli organi produttivi dell’uo mo sociale. È il riferimento a Vico nel voi. I del Capitale, col richiamo al mon do della storia, che permette di conclu dere con la condanna dell’astrattezza del le concezioni di quel materialismo che viene modellato sulle scienze naturali. Se due caratteri sono essenziali al pensiero di Marx, la concezione econo mica del processo di sviluppo e l’inter pretazione attivistica di esso, risultante dalla continuità della prassi, il secondo assume la sua configurazione solo dopo che, vichianamente, si sia consapevoli che si sa ciò che si fa e che opera nostra è essenzialmente la storia. È grazie al l’insegnamento di Vico che Marx rag giunge la consapevolezza non attinta da Feuerbach, ancorato alla prospettiva na turalistica. Come si diceva all’inizio, viene così ripercorsa la storia d’un problema (ed in questa prospettiva è forse giustificato non porre il problema del fondamento meta fisico, cioè onto-teologico, del principio verum ipsum factum, richiamato recente mente da Karl Lowith), in un’imposta zione rigorosamente immanentistica. Va segnalato infinè il prezioso apporto di Francesco Lazzari alla rielaborazione che fa dire a Mondolfo nella Premessa che le pagine del saggio « ormai, quasi sono, più che mie o sue, solidalmente nostre » (segno singolarissimo del tempe ramento e dello stile inconfondibile del maestro). A rduino A gnelli -L-J noto che Marx non ha mai elabo rato una estetica personale e che, a ri guardo, ci ha lasciato solo alcune sinte tiche indicazioni che, per altro, hanno il pregio di porre con estrema chiarezza gli esatti e precisi termini del problema. Infatti, a proposito dei poemi omerici, egli ha scritto che « la difficoltà non epos dei di evo- che per un godi- ;otto un i norma or\c\ •2 -■ a -■Ss "C\ <L> C/i <D a s OD O ■-? o CN <u <A (Ni vo O 5 «gnalare ma este- ìe l’arte ?nomeno Senon- rta este- ome un ufficiale sfico ’ e , hanno ma deve lare una dia vita . Perciò ellettuali i modi snomeno le modo iclamato amento ’ è sen- kàcs, il i poste- sosto lo ma teo- eie alla dsmo e, are che Ila lotta ivoluzio- suo ra- assioma- luale il t mate- ;rale di può af fi è un ■rispec- ìateriale : d’arte maniera : sorte, i fon- ratteriz- illa sto- >. 475). le « ri- truttura le tout ■di in sila so- pecifica essa è re sulla ime un ■n vuol di Lukàcs di Luciano Pellicani dire che l’arte sia pura passività, dato che la relazione che lega l’arte alla sua base reale non è definibile in termini di causalità analitica, bensì in termini di causalità espressiva. Pertanto l’arte deve essere intesa come l’unico modo autentico di ' rappresentare ’ la realtà e di esprimerla ' dialetticamente ’, cioè come una attività legata indissolubilmen te al Tutto di cui è uno degli elementi. Tutto questo al filosofo ungherese non serve altro che per formulare la sua tesi centrale, secondo la quale « ogni forma di letteratura e di arte significa ipso facto attività, ossia presa di posi zione prò o contro una determinata base » (op. cit., p. 468). Il che è quanto dire che l’arte, in quanto presa di posizione prò o contro una certa società, è legata indissolubilmente alla politica. Conseguen za: l’artista ha un solo modo per creare un’opera d’arte: « cogliere il progresso e riviverlo con intima partecipazione » legandosi a ‘ idee giuste ' e a una ‘ giu sta prospettiva ’. Come si vede, l’originalità dell’estetica lukacsiana rispetto a quella del marxi smo dossologico — che ha avuto nello stalinismo l’espressione più rozza e ag gressiva — sta nel fatto che l’arte è concepita non solo come ' rispechiamen- to ’ della realtà, bensì come attività in grado di agire sulla base materiale della società. Ma il sugo del discorso ha lo stesso sapore di quello della scolastica stalinista: l’arte, come ogni altra mani festazione della vita umana, deve essere concepita ‘ nella mischia ’, prò o contro una certa società e la sua validità è tutta da ritrovarsi nella giustezza delle sue idee e della sua prospettiva politica. L’arte pura, l’arte per l’arte non esi ste, o peggio, è una ' mistificazione bor ghese l’arte, piaccia o no, è impastata alla lotta di classe e pertanto deve es sere giudicata in base ai valori che la ispirano e agli interessi che la determi nano, cioè in base al suo ‘ contenuto ' ideologico-politico. Naturalmente Lukàcs si rende conto che la ' difficoltà ’ di cui parlava Marx nella Introduzione del 1857 non è risolta: resta da spiegare il ca rattere sovrastorico delle opere d’arte, il fatto che esse, malgrado il crollo della., base economico-sociale sulla qvslS' sono fiorite, rimangono dej.-i7iiodelli’. Qui l’estetica lukacsiana viene a trovarsi in un autentico vicolo cieco, in un’aporia oggettiva: se l’arte è un elemento so- vrastrutturale — cioè classistico e par titico —, come possono certe opere del l’antichità continuare a produrre in noi un godimento estetico? Del resto, se si riconosce all’arte lo statuto di fenomeno sottratto al determinismo economico e alle esigenze della lotta di classe, tutta la concezione marxista-leninista della real tà rovina di colpo. Eppure deve essere data una risposta a questo problema: ne va del monismo filosofico sul quale si basa l’intrapresa comunista. A tal fine il filosofo ungherese non esita a ricor rere a tutta la sua abilità dialettica per
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