PAOLO CHERCHI, UN EPISODIO ''DELL’ AUTOBIOGRAFIA,, DEL VICO E UNA POLEMICA DEL TARDO CINQUECENTO. CONVIVIUM XXXVII N.4, 1969

Quei pochi dati offertici dal Vico sono sufficienti a stabilire con sicurezza che « il fine » del libro da lui sfogliato sia da indicare nel penultimo capitolo del voluminoso tomo (e ciò potrebbe spiegarci il ricordo visivo vichiano) La Piazza universale di tutte le professioni del mondo4 di Tomaso Garzoni. Il capitolo s’intitola « De’ poeti in generale e de’ formatori d’epitaffi e pasquinate in particolare ». Dopo aver diffusamente parlato dei pregi e dei difetti dei poeti, e dopo aver duramente attaccato i « limpidetti petrarchisti » per il loro mono­ tono ed insincero cantare di « lieti boschi », di « ritrosetti amori » di « dogliose note », di « pargoletti accorti »..., il Garzoni apre una lunga parentesi per presentare i testi di una polemica letteraria. Il primo di questi è un lungo componimento in distici elegiaci di Lorenzo Massa5. Ma prima di trascrivere alcuni di questi testi ci si permetta di ricostruire gli estremi di quella polemica, così come, agevolmente, si possono ricavare dal capitolo stesso del Garzoni. Il Massa compose un’elegia che, probabilmente, avrebbe dovuto costituire il testo di un’iscrizione. Unita ad alcuni componimenti eligiativi, la sottopose al giudizio di Antonio Riccobono. La risposta del Ricco- bono fu tutt’altro che positiva, e, per disgrazia del Massa, la lettera che la conteneva fu letta al momento stesso della consegna da alcuni suoi amici, che ne diffusero rapidamente il contenuto nei vari circoli letterari veneziani. Il Massa ne fu tanto mortificato da non voler più pubblicare l’elegia, sua prima ed ultima prova poetica. Ma il Garzoni, proclamandosi amico dello sfortunato poeta, decise di pubblicare l ’elegia, i versi laudativi, la lettera del Riccobono e una sua puntuale replica: era questo, ai suoi occhi, l ’unico modo di far giustizia al suo amico. Ecco il testo dell’introvabile epigramma (p. 935 ): Laurentii Massae Ad Viatorem Elegia Siste iter o nimium iam solibus uste Viator, Quid iuvat ardentes continuare vias? Quis fuor est (ten’exercet fatalis Erynnis) Quaerere funestos in tua damna rogos? Nonne vides Titan rapidos ut duplicet ignes, Et medio longas torreat axe dies? Ut rabido fruges passim excoquat oris hiatu Sirius, et diro sidere findat humum? Dum licet in sanos moneo vitare calores Dum licet, incensi tempora sicca canis. Ipse malos aestus memini induxisse malignas Febres, ac miseras saepe tulisse neces. Audisti Icarios casus, miserandaque fata, Stultitiae poenas pertulit ille suae, 4 I testi ed i passi che riporteremo ver­ ranno citati dall’edizione veneziana del 1589 (la prima edizione è del 1585). In tutte le edizioni successive che abbiamo potuto con­ sultare la parentesi polemica è stata elimi­ nata. 5 Di questo « segretario » (non «canoni­ co » come ricordava il Vico) non ci è stato possibile rinvenire alcun dato, altre a quelli generici offerti da M. E. Cosenza nel suo D ictionary of thè Italian H u m a n itst (Boston, 1962, voi. V ad vocern Massa): Massa sarebbe il nome umanistico di Care- sini, e a lui Aldo Manuzio avrebbe indiriz­ zato la sua prefazione all’I« M .T . Ciceronis D e O fficis (Venezia, 1581) e Antonio Ric­ cobono gli avrebbe dedicato la sua In Epi- stulam Pauli ad R om anos (manuscritta). 464

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