DARIO FAUCCI, Vico e Grozio «giureconsulti del genere umano». Ediz.di "Filosofia", 1969

2 VICO E GROZIO e successi forensi, di cosi scarso prestigio da non riuscire ad ottenere una cattedra giuridica nell’Università, dove rimase professore di reto­ rica, solo apprezzato e ricercato come scrittore a pagamento di elogi funebri, iscrizioni e dedicatorie, a contatto da lungi e non da pari con i potenti, non ha nessun peso nella vita pubblica di Napoli, né a favore, né in opposizione al governo (2). Anche il Vico, come Grozio, è giurista e umanista. C’è dunque un terreno d’incontro: i solenni monumenti giuridici e letterari del mondo antico, testimonianza dei costumi in guerra e in pace, negli affari pubblici e privati. Chi apre il De iure belli ac pacis dell’olan­ dese e la Scienza nuova del napoletano, trova la stessa atmosfera arcaica o meglio la stessa viva presenza del mondo classico come realtà ancora attuale. Ma la lettura, cioè la ricostruzione e l’inter­ pretazione di quel medesimo mondo, dell’uno doveva differire da quella dell’altro. Non è sicuro se si deve accettare la notizia d elYAutobiografia secondo la quale il Vico avrebbe letto il De iure belli ac pacis nel- l’« apparecchiarsi a scrivere » la « vita del maresciallo Antonio Ca­ rata » pubblicata nel 1716 (3). Le orazioni inaugurali dell’anno uni­ versitario, che Vico tenne tra il 1699 e il 1708, contengono già, secondo il persuasivo rilievo dei critici, concetti ed espressioni gro- ziani (4). Ma resta a ogni modo sicuro che, diversamente da Gro­ zio che spesso censura in nome della ragione la giurisprudenza romana, il Vico dà grande valore alla storia giuridico-politica di Roma. La piena testimonianza di ciò può trovarsi nel De nostri temporis studiorum ratione, l ’ultima delle orazioni inaugurali, del- l’anno 1708. Vico rileva che, mentre presso i Greci la giurisprudenza era contenuta nella filosofia in generale e si risolveva in essa, staccata dal lavoro dei prammatici (raccoglitori di leggi) e degli avvocati (retori), cc i filosofi dei romani erano gli stessi giureconsulti, in quanto ponevano nella sola perizia delle leggi ogni sapienza, ossia conser­ vavano in essa la mera sapienza de’ tempi eroici » (5). E appoggian­ dosi a Orazio (6) continua: « Quare eadem definitone Romani iurisprudentiam, qua Graeci sapientiam, ‘ divinarum humanarumque rerum notitiam ’ definiebant. Cum autem ea sapientia iustitia et civili prudentia tota ferme constet, doctrinam de repnblica et de iustitia multo rectius quam Graeci, non disserendo, sed ipso usu reipublicae perdi- scebant ». Il significato che la storia del diritto romano ha qui per Vico fu rilevato chiaramente da Giuseppe Ferrari quando scriveva: « Insieme colle idee filosofiche nella mente del Vico si era disegnata la storia di Roma, tracciata nella successione delle sue leggi: nell’orazione sul Metodo degli studi aveva riassunto, combinato e nello stesso tempo abbreviato tutto ciò che la divinazione de’ suoi predecessori aveva scoperto nella storia della giuri­ sprudenza romana. — Lo spettacolo delle leggi di Roma si schierava dinanzi a lui con l ’unità di un dramma rappresentato da un popolo di giganti » (7).

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